Riccardo Montanari - PNL e Coaching

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La differenza tra fare il capo ed essere un Leader

5 dicembre 2017 by riccardo montanari Leave a Comment

Scopri in quale stile di leadership ti riconosci, approfondendo definizioni, metodo da applicare e le quattro are da sviluppare.

Con l’obiettivo di creare valore.

© LoveTheWind - iStock

Sentiamo tanto parlare di leader e leadership, due parole molto nobili al suono, che spesso tendiamo a confondere con altre dal suono un po’ più duro, come capo e comandare. Ho avuto la fortuna di conoscere nella mia vita tanti leader e tanti capi, e devo dire che le differenze riscontrate sono state sempre molte e significative. Se mi segui, sai che parto sempre dalla definizione di una parola. Quando mi sono avvicinato al mondo della formazione, ormai dieci anni fa, mi ricordo che sentivo molto pronunciare la parola leader, poiché la parola in sé crea molto interesse. Nel mondo del lavoro è usata spessissimo, e anche al di fuori della vita professionale molte persone, soprattutto fra noi maschietti, vogliono fare i leader, perché il leader è ammirato da tutti, comanda e gli altri lo seguono. La trappola è proprio questa. Secondo molte persone, se non sei un leader sei un follower, cioè uno che segue quello che fa appunto il leader, e a poche persone piace fare quello che dicono gli altri, mentre trovano soddisfazione nel vedere gli altri che fanno quello che vogliamo loro: qui trovano spazio i capi, i quali spesso abusano del loro ruolo e del loro potere per imporsi in modo prepotente e prevaricante.

Creare valore 
Leader per come l’hanno spiegata a me molto tempo fa, significa ‘colui che va per primo’, o, tradotto letteralmente, ‘conduttore’, cioè colui che guida, dal verbo inglese ‘to lead’, condurre. Uno dei miei maestri/mentori, ha fatto tempo fa qualche ricerca più approfondita, e ha scoperto che la parola leader deriva dal gotico antico ‘laeden’, il cui significato originario era ‘andare avanti o verso l’alto’ riferito a qualsiasi azione costruttiva per il bene della comunità. Anche il suffisso ‘ship’ pare che provenga da una parola di gotico antico, di cui la radice è ‘schaeppen’ che significava ‘creare qualcosa di valore’. Si può ipotizzare quindi che il vero significato della parola leadership fosse associato all’espressione: ‘portare in alto, dando/creando valore’.

Applicare un metodo
Robert Dilts, ricercatore in programmazione neuro linguistica (PNL) e uno dei primissimi allievi di Bandler e Grinder (che l’hanno inventata ndr), ha identificato lo ‘schema della leadership’ dove il leader deve sviluppare quattro aree principali – sistema, visione, altri, sé – sulle quali poi fondare la propria leadership.

Sistema: abilità di pensiero sistemico. Qui troviamo la capacità di una persona di pensare in modo allargato, ossia al sistema di cui fanno parte le persone che lui guida, e lui stesso.

Visione: abilità di pensiero strategico. Qui si trova come dice la parola stessa, l’abilità di fare strategia che consente poi di generare una visione e tracciare la strada per avvicinarsi sempre di più a quell’idea per ora solamente immaginata.

Altri: abilità relazionali. In quest’area c’è una delle più significative differenze a mio avviso fra il vero leader, e uno che fa il capo. Relazionarsi con gli altri è fondamentale per un leader. Le persone che decideranno se seguire qualcuno, lo faranno perché sono in relazione con questa persona. Le persone che seguiranno un capo, lo faranno perché questi ricopre un ruolo al quale bisogna obbedire. E fra i due atteggiamenti c’è un profondo abisso.

Sé: abilità personali. Gestire sé stessi, la propria comunicazione, il proprio stato emotivo. Riuscire a cadere e rialzarsi. Prendere una decisione sbagliata, o difficile, e riuscire comunque a restare calmi. Essere congruente, cioè dare l’esempio.

Tanti tipi di leadership 
Troviamo poi tre visioni di leadership, identificate con i termini meta, micro e macro.

La leadership meta è quella che va oltre, che crea un movimento che poi troverà spazio nel rivoluzionare attraverso la visione del leader la situazione esistente. La leadership macro fa si che un gruppo di persone diventi una squadra unita, compatta e orientata a una visione comune. La leadership micro, infine, si distingue da quelle precedenti, perché il leader sviluppa il suo stile personale per ottenere la collaborazione e il coinvolgimento tenendo conto della situazione attuale nella quale lui e il membri del suo team si trovano in quel preciso momento. In questo caso specifico, non c’è più solo una visione, ma un obiettivo reale e specifico da perseguire.

Focalizziamoci sulla leadership micro: qui ci viene in aiuto Daniel Goleman, esperto di intelligenza emotiva, che ha identificato sei stili diversi di leadership.

Visionario. È il leader capace di portare tutti verso un qualcosa che ancora non esiste, ma è agli occhi di tutti affascinante.

Autoritario. Crea gruppo con direttive chiare, anche se può avere un impatto negativo: è utile nei momenti di crisi o di emergenza, per affrontare persone bloccate dalla situazione stessa.

Battistrada. Come dice la parola stessa, è un leader che apre, traccia, la strada agli altri. Può essere anche negativo per un gruppo, poiché molto solitario, ma è allo stesso tempo utile per ottenere risultati di un team già competente e motivato.

Democratico. Crea team facendo leva sul valorizzare il supporto di ogni singolo membro del team. Ha un impatto positivo, ed è una figura utile per dare e ricevere feedback.

Affiliativo. Crea armonia e sinergia fra tutti i membri del team, favorendo le relazioni portando così un impatto molto positivo. È molto utile per ricompattare un team con dinamiche interne difficili.

Coach. Crea il team, favorendo le relazioni fra il team e l’obiettivo del team stesso o dell’ azienda. Ha un impatto molto positivo sul team ed è utile per far crescere le persone sia da un punto di vista umano che professionale.

Trovare il proprio stile
Per trovare il proprio stile è utile chiedersi quale stile, fra questi, si tende a usare di più e perché, o anche quale non viene mai utilizzato, e perché. Tutti noi siamo leader, nessuno escluso, e in qualsiasi momento della giornata. Si tratta solo di capire quale sia lo stile al quale ci sentiamo più vicini. Robin Sharma, un’autorità mondiale nel campo della leadership, ha scritto un bellissimo libro, ‘Il leader che non aveva titoli’. Il messaggio principale che Sharma vuol far passare, attraverso il racconto di una cameriera di Star Bucks, è che ognuno di noi può, indipendentemente dal ruolo che ricopre, prendere in mano una situazione, o un gruppo di persone e guidarle secondo il proprio stile di leadership.

E i capi? Non ne abbiamo parlato molto, e il motivo è molto semplice… Non c’è molto da dire.

Quelli che sono capitati a me, non tenevano conto degli altri. Pensavano solo a loro stessi, o tu eri con loro da follower, oppure eri una minaccia e quindi andavi combattuto ed espulso dal sistema. Questo è quello che mi sentirei di dire su un capo, è sempre costantemente concentrato su di se, e deve venire lui per primo, non tu. Quando invece il vero leader fa tutt’altro. Un capo una volta preso il potere, manda gli altri a combattere, mentre lui se ne sta seduto a guardare. Il leader invece è costantemente sotto pressione, si preoccupa delle proprie persone, e cerca appena può di farle crescere.

Conclusioni
Se dovessi riassumere le differenze fra capo e leader, potrei semplicemente affermare che il capo realizza sé stesso, il leader aiuta gli altri a realizzarsi. Sembra banale, ma pensa mentre leggi a Gandhi, a madre Teresa di Calcutta, a tutti quei leader che hanno fatto in qualche modo del bene, magari realizzando sé stessi, ma dopo aver liberato una nazione ed un popolo dal colonialismo, o aver portato una parvenza di senso a persone prossime alla morta. Dall’ altra parte che cosa abbiamo? I capi che con il loro ruolo, o il loro potere, hanno terrorizzato persone o nazioni, sono state rispettate non perché meritassero tale rispetto, ma perché incutevano timore e paura. Ecco, questa è, secondo me, la vera differenza fra un leader e un capo.

Grazie per aver letto fino a qui, e alla prossima!

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Come definire i propri obiettivi

28 novembre 2017 by riccardo montanari Leave a Comment

 

Scopriamo insieme come prepararci al meglio per chiudere l’anno (E guardare all’anno nuovo) con le idee chiare…

Partendo dal metodo G.R.O.W. e mettendo poi tutto nero su bianco.

Definire i propri obiettivi è una cosa che andrebbe fatta all’inizio di ogni nuovo anno, ma ci sono sempre fattori esterni alla nostra responsabilità e capacità di controllo che influenzano ciò che ci eravamo prefissato. Per questo bisognerebbe ‘aggiustare il tiro’, con una correzione o comunque una revisione di quello che avevamo programmato.

Qual è lo scopo di definire uno o più obiettivi? Fare chiarezza nella propria mente. Quando faccio sessioni di Coaching con le persone infatti, e chiedo loro che cosa vogliono ottenere, spesso o addirittura sempre, mi viene detto quello che non vogliono. Andare via da una situazione, per proteggersi, è la prima cosa che tendiamo a fare, ma portare l’attenzione su quello che non si vuole ci allontana ancora di più da quello che in realtà vorremmo. Affinché sia ben formato, un obiettivo deve avere precise caratteristiche. Intanto deve essere espresso in positivo ed esprimere un risultato invece che un processo. E quindi si deve esplicitare quello che si vuole, invece che quello che NON si vuole. Voler perdere peso ad esempio, esprime un processo, mentre pesare 75 Kg. identifica un risultato. L’obiettivo quindi, deve essere specifico, più diamo dettagli al nostro cervello infatti, più avremo chiaro quello che davvero vogliamo. Deve poi essere misurabile su base sensoriale, ossia cosa devo poter vedere, sentire, toccare o provare per sapere che l’obiettivo è stato raggiunto. Deve ovviamente essere realistico e definito in termini temporali, poiché la differenza fra un sogno e un obiettivo è una data di scadenza. Inoltre deve essere sotto la mia responsabilità il più possibile, cioè devo poterlo controllare al meglio, e infine deve essere ecologico. L’ecologia è diversa dall’ etica, l’etica è ciò che è giusto o sbagliato, mentre l’ecologia è identificare la sostenibilità dell’obiettivo che voglio raggiungere.

Avere un metodo
Per strutturare al meglio la definizione degli obiettivi ci sono diversi strumenti. Spesso si sente infatti parlare del metodo S.M.A.R.T., ma io personalmente ne preferisco un altro. Tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90, Graham Alexander, Alan Fine e Sir John Whitmore diedero un significativo contributo a un metodo di definizione obiettivi che era stato in precedenza pensato, ma poco sviluppato. Il metodo G.R.O.W. ‘Grow’ in inglese significa ‘crescere’, ed è in questo caso un acronimo per identificare i passaggi in una definizione obiettivi. Vediamoli insieme.

G.

La G sta per ‘goal’, ossia obiettivo, e viene definita da quello che hai appena letto, ossia dal fatto che sia espresso in positivo, che sia misurabile, reale, specifico, definito su base sensoriale ed ecologico. Risponde alle domande “Cosa vuoi?” e Perché lo vuoi?”. Quest’ultima domanda è molto importante e potente, perché identifica lo scopo, il motivo per il quale si vuole raggiungere questo obiettivo.

R.

La seconda lettera sta per ‘reality’, realtà, e identifica la situazione in cui ti trovi ora. In pratica aiuta a prendere consapevolezza di quale sia il punto dal quale parti per raggiungere il tuo obiettivo, e risponde a domande molto precise come: “Dove ti trovi ora rispetto al tuo obiettivo” e ancora “Chi è coinvolto?” per passare poi a chiederti da chi o che cosa la situazione possa essere influenzata.

O.

La penultima lettera ha un ruolo importantissimo nella definizione degli obiettivi, e ha un duplice significato. La O sta infatti per ‘ostacoli’ ma anche per ‘opzioni’. Le domande che aiutano a rispondere a questa lettera sono molto importanti, poiché aiutano a identificare che cosa hai già fatto o che cosa stai facendo per raggiungere il tuo obiettivo. Inoltre, ti aiuta a riflettere su quali possano essere gli impedimenti, interni e/o esterni.

Infine, quali sono appunto le opzioni e/o soluzioni fra le quali poter scegliere per muoverti sempre di più e in fretta verso il tuo obiettivo.

W.

Decisamente la lettera più importante. Identifica il piano d’azione e quindi ciò che verrà fatto in concreto per raggiungere il proprio o i propri obiettivi. La W sta per ‘way forward’ (via da seguire) e ha ben quattro differenti significati: what (cosa), when (quando) who (chi) e will (volere).

Mettere nero su bianco
Un’altra cosa importante da tenere in considerazione è che tutto quanto hai appena letto, va scritto. Mi spiego meglio: tutto ciò che mettiamo per iscritto resta.

Definire un obiettivo con le modalità di cui sopra e metterlo poi per iscritto, ti permetterà di poterlo rileggere ogni volta che vorrai e capire se effettivamente stai facendo progressi. Inoltre, mettere quello che vuoi per iscritto, ti permette di memorizzarlo in modo più profondo, poiché mentre scrivi, ciò che scrivi diventa parte dei tuoi processi neurologici e pertanto comincia subito a diventare parte di te. Sia che tu definisca i tuoi obiettivi all’inizio dell’anno, che a metà, puoi tranquillamente utilizzare questo metodo. L’importante è farlo. Avere una destinazione ci consente di poter tracciare la rotta e di evitare dispersioni.

Da qui deriva anche la motiv-azione, cioè il motivo per il quale compiere azioni. Spesso quando spiego il mio lavoro mi sento dire “ah, fai il motivatore!” e allora spiego che non è quello il mio lavoro, non ho mai motivato nessuno in vita mia, né ho mai conosciuto altri che lo abbiano fatto, perché è impossibile, almeno per quanto mi riguarda, motivare qualcuno dall’esterno. Esistono molti corsi così detti ‘motivazionali’, e infatti gli effetti, che non discuto assolutamente essere positivi, durano pochi giorni. Essere motivati dall’esterno può funzionare per un periodo molto limitato di tempo, auto motivarsi per perseguire un obiettivo ha invece una potenza incredibile.

Costanza e determinazione
Mentre stai leggendo queste parole, probabilmente cominci a renderti conto del come mai solo una piccola percentuale al mondo definisca i propri obiettivi. E se stai pensando che sia difficile, la risposta è si! È molto difficile, ecco perché la maggioranza non li definisce affatto, e anche quelli che lo fanno, molto spesso rinunciano prima di raggiungere l’obiettivo. Definire un obiettivo, non è quindi semplicemente prendersi un impegno, o peggio ancora fare una promessa, è volere con ogni fibra del proprio corpo il raggiungimento di un risultato. Come sempre spero di averti dato qualche spunto di riflessione, e soprattutto strumenti pratici per poter migliorare sempre di più nella tua vita e nel tuo business.

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