Riccardo Montanari - PNL e Coaching

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Gabriele e il pallonicno

25 marzo 2019 by riccardo montanari Leave a Comment

Quello che vedi in questa foto, è mio figlio Gabriele di 2 anni e 4 mesi. Sta facendo il bagnetto della sera, e mi sta indicando dove è volato via il palloncino, che fino a pochi minuti prima teneva nella sua mano.

 

Ti sembrerà un post un po' diverso dal solito, ma credimi, se leggerai fino alla fine ti renderai conto di come la storia legata a Gabriele e il suo palloncino, riguardi anche te.

Tutto è cominciato qualche ora prima che scattassi questa foto.

Con Martina, la mamma di Gabriele e Davide, di solo un mese, siamo stati in un negozio di giocattoli, dove spesso andiamo, anche senza comprare nulla. A Gabriele infatti, piace anche solo provare i giochi e non fa molte storie se usciamo senza nessun acquisto.

Lui non si era accorto dei palloncini, ma io ne ho presi due, entrambi di colore verde e ne ho legato uno su ogni passeggino che avevamo. Erano quelli pieni di Elio, che vanno in alto, e mi piaceva l' idea di avere un palloncino legato al passeggino dei miei bambini, quasi come fosse un modo di segnalare la nostra presenza.

Gabriele, una volta realizzato che c'era palloncino sul suo passeggino, ha cominciato a tirarlo giù e se l'è tenuto stretto stretto fino a casa, senza lasciarlo mai.

Quando siamo arrivati nel nostro giardino, gli ho mostrato che se avesse lasciato la cordicella che era nella sua mano, il palloncino sarebbe andato verso l'alto e gli ho spiegato che non sarebbe più tornato indietro. Ho fatto si che lo lasciasse andare un paio di volte, per poi prenderlo io al volo, facendogli capire nuovamente e il meglio possibile, che se lo avesse lasciato sarebbe andato verso il cielo e non lo avremmo più afferrato.

Lui mi disse di aver capito, e voleva vederlo andare via, così mi convinsi e glielo lasciai fare, anche se a me un po' spiaceva dover vedere quel palloncino andare via. Così Gabriele ha aperto la mano e abbiamo guardato piano piano il palloncino andare via, e lui appena visto che il palloncino non si poteva più afferrare, ha cominciato a piangere, lasciandomi spiazzato, perché ero certo che la spiegazione di quali fosse le conseguenze del suo gesto, fosse stata chiara, eppure ha cominciato un lungo pianto disperato.

Avevamo un secondo palloncino, e nuovamente gli ho spiegato come la prima volta, cosa sarebbe successo, se avesse lasciato andare anche questo palloncino. Ma ovviamente, era più forte la voglia di vederlo levarsi ne cielo, che quella di tenerlo li, e così anche questa volta lo lasciò andare, e poco dopo, stesso copione di prima e cioè un lungo pianto disperato.

Mi è venuto in contro abbracciandomi forte, e piangendo sulla mia spalla ricordandomi di quando molti anni fa anche se più grande, feci la stessa cosa con mio padre, e così anche io l' ho stretto forte e gli ho detto alcune parole per rassicurarlo, e poco dopo, per calmarlo, siamo andati a fare il bagnetto che a lui piace tanto e qui, la storia finisce, ma non gli insegnamenti che quanto successo mi ha portato, in particolare uno.

La felicità è spesso nelle nostre mani, e a volte non ce ne rendiamo conto lasciandola volare via, capendo solo poco dopo aver aperto la mano e vedendola lentamente allontanarsi, di quanto fosse importante per noi.

Grazie per aver letto fino a qui e alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Le 11 caratteristiche dei Leader ad alta efficacia

23 marzo 2019 by riccardo montanari Leave a Comment

Come e perché la leadership dovrebbe essere uno stile quotidiano, essere in capo alla nostra vita, per vivere appieno, evitando che siano gli altri a indirizzare le nostre decisioni

In questo articolo parleremo delle 11 caratteristiche del leader ad alta efficacia, quali sono e perché sono necessarie nella società in cui viviamo. So che forse starai pensando che questo è l’ennesimo articolo sulla leadership che leggi, e lo capisco benissimo. Anch’io spesso penso che i termini leader e leadership siano inflazionati, ma forse è il caso di chiedersi come mai si voglia, soprattutto negli ultimi tempi, affrontare questo argomento così spesso. Quello che penso è che viviamo in una società sempre più frenetica, e una massima del mondo della formazione è che “i tempi di crisi creano leader”, proprio perché è necessaria la presenza di una persona capace di dare una direzione a chi, in un determinato momento o periodo, una direzione non ce l’ha. La verità però è che essere un leader è difficile, e lo è ancora di più essere un leader efficace.

Più oneri che onori
Essere leader comporta grandi responsabilità, e nonostante sia una posizione affascinante, prestigiosa e molto ambita, di fatto sono più gli oneri che gli onori. Ho già scritto un articolo che spiegava, secondo il mio personale punto di vista, la differenza fra leader e capo, e secondo Robin Sharma, autorità indiscussa nel mondo della leadeship, ognuno di noi può essere leader anche senza che gli sia stato conferito esternamente questo ruolo. La leadership dovrebbe essere uno stile quotidiano, essere in capo alla nostra vita: questo ci permetterebbe di vivere appieno, evitando che siano gli altri a indirizzare le nostre decisioni. Le caratteristiche che seguono sono applicabili a chiunque in qualunque situazione e, se sviluppate con costanza, permettono di aumentare la propria efficacia sia sul lavoro che nella vita, indipendentemente dai ruoli.

Caring
La prima caratteristica di un leader efficace è ciò che in inglese viene definito con il termine ‘caring’, ossia prendersi cura del prossimo, che sia un collaboratore o qualsiasi persona con cui si interagisce, focalizzandosi sui suoi bisogni, le sue preoccupazioni e soprattutto i suoi obiettivi.

A proprio agio nell’incertezza
Il leader ad alta efficacia riesce a muoversi e operare nel migliore dei modi in un ambiente di incertezza, dove le indicazioni che ha sono davvero poche. Questa caratteristica, a mio avviso, viene sviluppata ancora meglio quando alla base c’è una buona capacità di adattamento e soprattutto di flessibilità.

Persistenza
È fondamentale. La si può chiamare persistenza, oppure determinazione, sta di fatto che il leader ad alta efficacia mantiene un atteggiamento positivo, aperto e focalizzato sugli obiettivi, nonostante incontri ostacoli e fallimenti. Il web è pieno di storie affascinanti di atleti, imprenditori, scrittori, che si sono visti rifiutare la pubblicazione di un libro (per esempio J.K. Rowling), hanno subito il licenziamento dall’azienda che avevano fondato (Steve Jobs) o sono stati tenuti in panchina dalla squadra per cui giocavano (Michael Jordan). Eppure hanno continuato a restare focalizzati su ciò che volevano, nonostante le avversità.

Curare la comunicazione
Anche questo, mi spiace ripetermi, è fondamentale. Puoi essere il migliore del mondo nel tuo campo, avere l’idea più brillante di sempre, ma se non sai comunicare non vai da nessuna parte. Siamo, come si dice, ‘animali sociali’ e viviamo di interazioni, e per questo dobbiamo costruire rapporti sul lavoro, a casa e nella vita di tutti i giorni. Forse un domani chissà, interagiremo con le macchine, ma oggi interagiamo fra persone per qualsiasi cosa, quindi è d’obbligo sviluppare la capacità di essere un bravo, anzi meglio dire un eccellente, comunicatore.

Sapere negoziare
Non si deve essere in grado di negoziare solo la fine di un conflitto, si sa che tutto o quasi al giorno d’oggi va negoziato. Anche nelle relazioni fra persone bisogna avere questa caratteristica ben sviluppata. È necessario infatti saper negoziare sia verso l’ esterno, quindi con clienti, o persone che vendono qualcosa, sia verso l’ interno, quindi con il nostro team, i nostri colleghi e spesso anche con i nostri stessi familiari. Essere astuti politicamente Legato al fatto di essere degli eccellenti comunicatori. Chi ha questa caratteristica sa costruire relazioni in modo solido e soprattutto strategico e sa come organizzare una propria struttura, sia in termini di persone che di risorse. Avere senso dell’umorismo Quando le cose non vanno per il verso giusto, il leader efficace sa come intervenire per far rilasciare la tensione, con un po’ di allegria.

Coltivare la calma mentale
Nel bel mezzo di un momento difficile o cruciale, bisogna mantenere la stabilità mentale e soprattutto la calma interiore, nonostante la situazione sia instabile e incerta.

Entusiasmare
Il leader ad alta efficacia riesce a creare entusiasmo, convincendo i collaboratori a perseguire gli obiettivi del gruppo. Sfidanti In inglese la parola corretta è ‘challenging’. Significa darsi degli standard sempre più sfidanti e più alti in modo tale da crescere e far crescere gli altri, caratteristica fra le più importanti poiché il compito di un vero leader dovrebbe essere proprio questo. Far crescere le persone.

Consapevolezza
Essere consapevoli che, qualunque cosa si dica o si faccia, ha un impatto molto significativo sulle altre persone. Proprio per questo i leader ad alta efficacia pesano ogni singola parola o comportamento, soprattutto quando si relazionano con gli altri.

Focalizzarsi sul futuro 
È importante avere una visione di medio-lungo termine, dando la priorità al lungo periodo. È una caratteristica legata quindi al punto precedente, dove la consapevolezza di sapere che quello che dico o faccio oggi avrà un impatto su persone e situazioni un domani.

Coerenza
Ho lasciato questo punto per ultimo, perché lo ritengo essere il più importante e fa ancora una volta da spartiacque fra un capo e un vero leader. La coerenza sta diventando sempre più rara, eppure è super necessaria per essere un leader ad altissima efficacia. Immagina di essere un padre che dice ai propri figli di non fumare, mentre si accende una sigaretta. Penseresti che sia coerente? Allo stesso tempo nel business, ma anche nella vita di tutti i giorni, è facile cadere in questa trappola, proprio perché si ricopre una determinata posizione. Pensiamo di avere già dato, o pensiamo di essere arrivati, e quindi poter impartire ordini, dimenticando che ciò che fa un leader, o meglio che dovrebbe fare, è guidare le persone attraverso l’esempio. Gandhi, Marter Luther King e Madre Teresa sono persone che permangono nella storia da tantissimo tempo perché hanno usato queste caratteristiche, soprattutto l’ultima, che ha permesso loro di guidare folle enormi, verso grandi obiettivi raggiungendo risultati impensabili prima che fossero realizzati. E soprattutto, quando volevano che le situazioni in cui si trovavano cambiassero, sono cambiati loro per primi.

 

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Problem Solving. L’arte di risolvere problemi nel Business e nella vita

13 marzo 2019 by riccardo montanari Leave a Comment

Scopriamo insieme i passi fondamentali da compiere prima di concentrarsi su una soluzione, e quelli da seguire successivamente.

In questo articolo affrontiamo un tema che ormai da diverso tempo sta diventando, nel mondo del business, sempre più un’esigenza. Parliamo infatti di Problem Solving, ossia la capacità, o l’arte, come dice il titolo di questo articolo, di risolvere problemi. Perché è così importante? Partiamo da un’affermazione del filosofo ed epistemologo Karl Popper, che mi trova molto d’accordo: “La vita è un continuo risolvere problemi”. Dopo i 35 anni ho notato personalmente che il tempo trascorre a una velocità incredibile e, per quanto l’esperienza personale possa aumentare, muovendosi tutto così rapidamente, aumentano anche il numero di situazioni che ci troviamo ad affrontare. La spensieratezza diventa un ricordo: lascia spazio alle responsabilità, a un incremento delle situazioni da gestire.

Da problema a situazione
Problem solving è diventato uno dei tanti termini che viene utilizzato in modo improprio in diversi ambiti lavorativi: addirittura lo si utilizza nel curriculum e durante i colloqui viene richiesta questa fantomatica capacità di risolvere problemi. Innanzitutto vorrei fare una riflessione proprio sul tema ‘risolvere i problemi’. Se mi segui, o hai fatto qualche corso con me, sai quanto le parole per me siano importanti, pertanto togli dal tuo vocabolario la parola ‘problema’ e sostituiscila, quando puoi, con il termine ‘situazione’. I problemi si risolvono, mentre le situazioni non si risolvono, si gestiscono. E gestire una situazione è di gran lunga meglio che risolvere un problema. Potrai pensare che si tratti di un trucchetto da quattro soldi, ma credimi che la tua mente sarà molto più felice nel gestire una situazione, invece che nel risolvere un problema. Detto questo, torniamo a parlare quindi di problem solving, ossia l’arte di gestire situazioni complesse.

Gestire situazioni complesse
Una persona che sa come gestire situazioni complesse è, in poche parole, una persona che sa pensare in modo più funzionale. Di fatto, ci sono due tipi di individui: quelli che si concentrano sul problema e quelli che invece si concentrano sulla soluzione. I secondi sono ovviamente coloro che sanno gestire una situazione in modo migliore e più funzionale. Su questo ultimo punto, ti consiglio caldamente di sviluppare il giusto atteggiamento mentale, perché quello che vogliono davvero le aziende, e anche i clienti, è esattamente questo: una persona, o un’azienda, che si concentri sulla soluzione, invece che sul problema. Nella mia vita ho avuto la fortuna di fare decine e decine di colloqui per trovare un impiego lavorativo... Hai letto bene, ho scritto fortuna, perché avendo fatto così tanti colloqui ho sviluppato flessibilità e capacità comunicative che sono spesso alla base del problem solving. E il problem solving è un ‘tema’ che, durante la maggior parte dei colloqui, i miei interlocutori mettevano sul tavolo.

Ora, prova a immaginare il seguente scenario. 

Nella tua azienda succede un fatto molto grave: perdete il cliente che realizzava metà del fatturato. Cosa fai per prima cosa? Chiedi di chi sia la colpa oppure ti domandi cosa si può fare per recuperare il fatturato perso? Leggendo queste ultime righe, ti sembrerà facile pensare alla seconda opzione. Ma nella realtà quella che ricevi è una ‘shock news’ che la tua mente deve prima elaborare: devi quindi calmarti, capire cosa sia successo esattamente e quali sono le tue opzioni. Per essere un problem solver, ricordati che quando si presenta una situazione da dover gestire ci sono tre passi fondamentali da fare prima di concentrarti sulla soluzione:

1. Elabora la situazione che hai davanti.

2. Crea il più possibile un distacco emotivo da essa.

3. Raccogli i fatti, per poter capire quali sono le tue opzioni.

Fatti questi tre passaggi, ora e solo ora puoi cominciare a pensare in termini di soluzione o gestione della situazione. Per migliorare e accelerare questa tua capacità, ed essere quindi un problem solver davvero efficace, ecco i cinque passi da seguire.

1. Raccogliere i fatti dalla tua parte 
Partiamo dall’ultimo punto visto sopra. Raccogliere i fatti è il segreto dei più grandi risolutori di situazioni difficili a livello mondiale: se sai esattamente la situazione attuale nei dettagli più accurati, sei anche in grado di capire quali passi puoi fare per uscire dal guado. Avere il polso della situazione ti permette di generare il maggior numero di opzioni possibili, dandoti un senso di sicurezza e di poter contare su un ‘catalogo’ per gestire la situazione in corso.

2. Comincia dalle cose semplici 
Come in palestra, esercita questa capacità di raccogliere informazioni relative alla situazione da gestire e di trovare le relative opzioni, partendo dalle piccole cose, per poi andare in crescendo.

3. Pensa in termini di domande 
È il concetto alla base del coaching, rafforzata dalla massima di Anthony Robbins, famoso coach americano che spesso cito nei miei corsi: “Chi domanda comanda”. Questa regola vale sia che tu chieda di risolvere una situazione a qualcuno, sia che la soluzione della situazione la debba trovare tu. La domanda ti permette di generare la ricerca di una risposta: chiederti banalmente “come posso risolvere questa situazione?” fa in modo che il tuo cervello si muova in una direzione, invece che restare fermo a ciò che è successo.

4. Soluzioni, non idee 
È un concetto molto semplice, eppure spesso è quello che in concreto viene fatto. Le persone pensano di poter gestire una situazione portando idee, che si rivelano però poi poco utilizzabili nel concreto. Il tuo obiettivo è risolvere, o gestire una situazione, non avere l’idea su come si possa risolvere. La differenza è forse molto sottile, ma allo stesso tempo anche abissale. Avrai sicuramente sentito spesso l’espressione: “Ho avuto una grande idea!”. In realtà chi ha idee spesso non è un bravo problem solver, perché potrebbe ritrovarsi a pensare troppo e agire poco. Al solito ci vuole equilibrio fra quanto sia necessario pensare e quanto sia necessario fare. Le idee possono creare nuovi scenari, nuove situazioni, nuovi mercati, nuovi prodotti. Ma quando devi poi risolvere una di queste idee che si sono concretizzate, ci vogliono ovviamente soluzioni.

5. Metti te stesso alle strette 
Quando gli esseri umani vengono messi alle strette, in una situazione tipicamente di pericolo, o peggio ancora di vita o di morte, tirano fuori il meglio che hanno dentro. Una volta, a un corso di negoziazione strategica, un manager di un’importante azienda mi disse che aveva difficoltà nel farsi approvare il budget dal proprio capo temendo la reazione negativa di quest’ultimo. Gli chiesi quanto fosse importante per lui ottenere il budget: la risposta fu che era assolutamente importante e che aveva tentato, secondo lui, qualsiasi strategia per uscire dall‘ufficio del capo con il budget approvato. A quel punto gli chiesi se avesse figli, lui rispose sì. Feci allora una domanda molto provocatoria: “Se ci fosse una pistola puntata alla testa di uno dei tuoi figli e il grilletto scattasse se tu non riuscissi a farti approvare il budget dal tuo capo, che cosa faresti?”. Ovviamente mi rispose che, in quel caso, troverebbe sicuramente il modo. Anche io avrei risposto la stessa cosa, perché quando siamo messi alle strette pensiamo a soluzioni che mai avremmo nemmeno immaginato in una circostanza tranquilla.

Ma per agire così ed evitare il panico, dobbiamo essere allenati. Quindi, davanti a qualsiasi situazione, immaginati che non hai altra scelta, se non trovare tu stesso una soluzione che ti faccia uscire dal guado. Puoi immaginarti che sarai licenziato, oppure che la tua azienda chiuderà se sei un imprenditore, oppure ancora che qualcuno potrebbe rimetterci la vita se tu, o il tuo team, o la tua azienda, non troverete una soluzione alla situazione che state vivendo. Quest’ultimo è il punto più importante per diventare un problem solver eccellente. Ricordati che è scientificamente provato che qualsiasi cosa il cervello immagini attiva le stesse aree di qualcosa realmente vissuto e che, cosa ancora più importante, non c’è mai una soluzione, ce ne sono sempre diverse. Se siamo convinti del contrario, diremo al nostro cervello di smettere di cercare vie d’uscita, e lui farà esattamente quello che gli abbiamo chiesto. Del resto, sarà capitato anche a te di aver lasciato le chiavi sul tavolo, di passare davanti, non vederle e chiedere ad altre persone di aiutarti nella ricerca, per poi trovarle, appunto, sul tavolo. Buffo vero? Eppure è capitato un po’ a tutti.

Grazie per aver letto fino a qui e alla prossima!

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Le 55 scuse degli esseri umani

6 febbraio 2019 by riccardo montanari Leave a Comment

Le persone di successo fanno cose molto simili, pur non sapendo dell’esistenza l’uno dell’altra.

Ma anche chi il successo non lo raggiunge trova scuse molto simili... vediamole insieme.

Tutte le epoche sono uguali: è una affermazione che mi è capitato di sentire diversi anni fa e da cui ho preso spunto per scrivere questo articolo. Se questa affermazione è vera, allora anche le dinamiche che limitano il successo, o che lo favoriscono, sono uguali. Di fatto pare che Socrate, il famoso filosofo greco, già all’epoca si lamentasse di cose che avvenivano nella società di allora e che ritroviamo anche oggi, come ad esempio i giovani che non vogliono lavorare, o che pensano tutti a fare la bella vita. Forse tutto questo è possibile, perché indipendentemente dall’epoca, gli esseri umani sono sempre gli stessi, almeno a livello comportamentale. Cambia di sicuro il contesto, una volta si andava in giro con la carrozza e i cavalli, oggi invece andiamo con automobili di vario tipo. Questo ragionamento mi ha portato a ripensare ad uno dei miei libri preferiti che probabilmente, se hai frequentato un mio corso o letto qualche mio articolo, avrai certamente sentito nominare. Sto parlando infatti, di uno dei libri di crescita personale più venduto al mondo, a tutt’oggi e a distanza di 81 anni dalla sua uscita. Sto parlando di ‘Think and grow rich’, che possiamo tradurre ‘Pensa e arricchisci te stesso’, di Napoleon Hill.

Trovare un minimo comune denominatore

Questo incredibile scrittore fu incaricato da Dale Carnegie, magnate dell’epoca e milionario fattosi totalmente da solo, di studiare per vent’anni le persone che avevano avuto successo, per trovare quali fosse gli elementi distintivi di ciascuno, cercando di trovare allo stesso tempo un comune denominatore. Ovviamente il titolo è metaforico, non significa quindi diventare per forza ricchi economicamente, ma crescere come individui, e avere successo, qualunque sia il significato che ognuno dà a questa parola. Perché si, le persone di successo fanno cose molto simili, pur non sapendo dell’esistenza l’uno dell’altra. Uno dei capitoli finali di questo libro, che consiglio sempre di leggere, è dedicato alle 55 scuse degli esseri umani che impediscono loro di raggiungere il successo. Leggendole si ha proprio l’impressione che l’idea che ‘ogni epoca ha dinamiche uguali’ è proprio vera. Se le persone che hanno successo fanno cose simili quando ottengono risultati, anche chi il successo non lo raggiunge trova scuse molto simili. Alcune di queste scuse sono parzialmente vere, ma come recita Hill nel libro, “non si possono usare le scuse per fare i soldi, o avere successo. Il mondo vuole solo i fatti: hai avuto o stai avendo successo?”.

Ecco quindi quali sono le famose cinquantacinque scuse, o se preferisci i cinquantacinque ‘se’.

Se non avessi una moglie e una famiglia.

Se avessi abbastanza agganci o raccomandazioni.

Se avessi i soldi.

Se avessi avuto una buona istruzione.

Se potessi trovare un lavoro.

Se avessi la salute.

Se solo avessi tempo.

Se i tempi fossero migliori.

Se gli altri mi capissero.

Se le condizioni attorno a me fossero diverse.

Se potessi rivivere la mia vita.

Se non avessi paura di quello che potrebbero dire gli altri.

Se mi avessero offerto una possibilità.

Se avessi adesso un’occasione.

Se gli altri non ce l’avessero con me.

Se non vi fosse nulla a fermarmi.

Se solo fossi più giovane.

Se solo potessi fare ciò che voglio.

Se fossi nato ricco.

Se potessi incontrare le persone ‘giuste’.

Se avessi il talento che ha qualcuno.

Se osassi impormi.

Se solo avessi colto le occasioni passate.

Se la gente non mi desse sui nervi.

Se non dovessi badare ai bambini e tenere pulita la casa.

Se potessi risparmiare un po’ di denaro.

Se il capo mi apprezzasse.

Se solo avessi qualcuno che mi aiutasse.

Se la mia famiglia mi comprendesse.

Se vivessi in una grande città.

Se solo potessi iniziare.

Se fossi libero.

Se avessi il carattere e la personalità di certuni.

Se non fossi così grasso/grassa.

Se i miei talenti venissero riconosciuti.

Se solo avessi fortuna.

Se potessi ripianare i debiti.

Se non avessi fallito.

Se solo avessi saputo come.

Se non avessi avuto tutti contro.

Se non avessi tante preoccupazioni.

Se potessi sposare la persona giusta.

Se la gente non fosse tanto stupida.

Se la mia famiglia non fosse così bizzarra. Se fossi sicuro di me.

Se non fossi sfortunato.

Se non fossi nato sotto la stella sbagliata.

Se non fosse vero che ‘quanto dev’essere sarà’.

Se non dovessi lavorare così duramente.

Se non avessi perso i miei soldi.

Se avessi vicini diversi.

Se non avessi un ‘passato’.

Se solo avessi un lavoro indipendente.

Se gli altri mi ascoltassero.

Se (e questo è il più grave) avessi il coraggio di vedermi per quello che sono davvero, scoprirei cosa c’è di sbagliato in me e riuscirei a modificarlo. Allora saprei trarre vantaggio dai miei errori e imparerei qualcosa dall’esperienza degli altri, perché sono sicuro che c’è qualcosa di sbagliato in me, altrimenti mi troverei dove vorrei essere se avessi dedicato più tempo ad analizzare i miei difetti e le mie debolezze, e passerei meno tempo a costruirmi degli alibi.

Le scuse sono pericolose
Alcune di queste affermazioni possono sembrare ripetitive, ma la verità e che nel cercare di costruirci alibi siamo molto creativi, e questo ci porta a dare nomi diversi alle scuse che accampiamo. Le scuse sono pericolose, sabotano i sogni e i desideri, impedendo di realizzarli. Ma quello che le rende ancora più dannose, è che sono dei veri e propri ‘auto-inganni’. Prendiamo ad esempio l’ultimo punto: se avessi il coraggio di vedermi per quello che sono davvero. È di fatto la spiegazione al perché accampiamo scuse e ci auto-inganniamo: non abbiamo fiducia in noi stessi e per questo ci costruiamo da soli degli ostacoli, mettendo tutta l’energia possibile per dimostrare che esistono, invece di impegnarci al massimo per raggiungere i nostri obiettivi. Sempre secondo Napoleon Hill, e io sono d’accordo, i pensieri sono ‘cose’. Nel mondo della formazione si racconta spesso la massima di Walt Disney, che recita: “se lo puoi immaginare, lo puoi creare”. In fondo se ci pensi, è cominciato tutto con un topolino. Ciò che la mente può concepire può anche realizzare, ma se siamo i primi a trovare i difetti, le criticità, e soprattutto le scuse che ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi, difficilmente ce la faremo. Vorrei evitare di essere frainteso. È giusto avere dei dubbi su se stessi, sulle proprie capacità, altrimenti smetteremmo di migliorare e di crescere, e anche nei progetti che affrontiamo va bene essere critici e ricevere soprattutto critiche che ci permettono di migliorare. Ma le scuse non portano mai a nulla di buono. Sono bloccanti, non ci fanno andare né avanti né indietro.

Conclusioni
Per concludere, voglio raccontare questo aneddoto che mi ricordo ancora oggi, e sono passati più di 20 anni da quando mi trovavo a svolgere il servizio di leva nei paracadutisti. Il mio comandante mi chiese di passargli un ufficiale del comando al telefono e io dopo vari tentativi, non riuscivo a mettermi in contatto con lui e sentendomi sconfitto, andai da lui portando a giustificazione alcune scuse. Dopo un po’ che parlavo mi disse: “e invece di trovare una soluzione, sei venuto a scusarti?”. Ecco, l’essenza di questo articolo è questa. Si dice sempre che invece del problema, bisogna focalizzarsi sulla soluzione. Ancora più importante è concentrarsi sulle soluzioni, invece che sulle scuse.

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Le sette abitudini delle persone ad alta efficacia

23 maggio 2018 by riccardo montanari Leave a Comment

 

Il titolo di questo articolo non è una mia invenzione. Riprende il titolo originale di uno dei libri più belli che siano mai stati scritti sul tema della crescita personale. Se provi a cercarlo su internet, però, non lo troverai. Per rintracciarlo devi digitare ‘Le 7 regole per avere successo’. È questo il titolo scelto dall’editore nella traduzione italiana per renderlo più accattivante. Nelle righe che seguono ti parlerò del contenuto del libro.

I sette principi
Se mi segui da un po’ – ormai è un anno che scrivo per questa rivista – saprai che per me la linguistica e le parole in generale hanno un significato molto importante. Le parole, infatti, possono, come si diceva una volta, ferire più di una spada se usate in un certo modo. Partiamo quindi dal titolo. Qual è la differenza fra ‘abitudini’ e regole? A mio personale avviso, le abitudini sono qualcosa che parte da noi, una cosa che riusciamo a fare nostra, mentre la percezione che abbiamo delle regole – anche quelle che ci ‘auto prescriviamo’ – è di un’imposizione. E l’essere umano, davanti a un’imposizione, tende ad andare nella direzione contraria. Del libro a me piace il titolo originale, che in inglese è ‘The seven habits of highly effective people’. Un titolo in cui non si parla di regole, ma di abitudini, e neanche di successo, ma di efficacia. L’unica cosa su cui entrambe le versioni del titolo concordano, però, è il numero: sette.

La lezione di Stephen Covey
Potremmo partire da qui per comprendere insieme queste sette abitudini o regole, ma è meglio rispondere innanzitutto a una domanda che sicuramente ti starai facendo: chi è l’autore del libro? Il suo nome è Stephen Covey e credo che sia utile spendere qualche parola su questo personaggio. Covey è stato uno dei più importanti sviluppatori al mondo del concetto di coaching così come lo conosciamo oggi, prolifero scrittore e grande speaker a livello Internazionale. Ti basti pensare che il libro da cui traggo questo articolo ha venduto 25 milioni di copie, con traduzioni in 50 lingue, e che anche oggi viene considerato fra i migliori testi di sempre in questo campo.
Covey ha lavorato inoltre con diversi politici e con moltissime aziende. Se cerchi in rete potrai trovare diverse foto che lo ritraggono con Bill Clinton e con Obama. Un grande personaggio che alla soglia degli 80 anni si presentava ancora in splendida forma, ma che purtroppo, dopo una caduta in bici nel 2012, è entrato in coma morendo qualche giorno dopo. Come mai Covey è diventato così famoso e richiesto dalle aziende? Proprio per aver sviluppato questi sette principi, che se messi in pratica tutti i giorni – a livello professionale e personale – possono dare una direzione significativa alla nostra vita. Ed ecco finalmente questi sette principi che ancora oggi vengono spiegati, insegnati e soprattutto applicati dalle aziende, con un importante riscontro di risultati.

1. Essere proattivi
Proattivo è una parola del nostro vocabolario fin troppo abusata, anche se in pochi conoscono realmente il suo significato e il modo in cui mettere in pratica correttamente questo concetto. Covey nel libro racconta un episodio: stava tenendo un corso in un hotel quando i pennarelli smisero di funzionare. Uscendo dall’aula per cercarne degli altri, incontrò un addetto alle pulizie e gli manifestò la sua necessità. L’addetto alle pulizie non disse “non è compito mio” oppure “io mi occupo di altro”, ma rispose: “Certo Mr Covey, me ne occupo subito”. Non sappiamo nel dettaglio come finì la vicenda. Ciò che sappiamo è che questa persona non ha evitato o reagito al problema, ma ha gestito in modo proattivo la situazione.

2. Comincia pensando dalla fine
Te ne ho già parlato nei numeri passati. Con i miei clienti, quando faccio coaching, uso spesso questo principio per far capire alle persone quello che vogliono, ciò che intendono essere e gli effetti che il raggiungimento di un obiettivo prefissato può portare. Anche qui Covey fa fare un esercizio illuminante: fa immaginare a un individuo di essere arrivato in fondo alla propria vita e di essere un fantasma che prende parte al proprio funerale. Gli chiede di individuare tre persone che stanno parlando di lui e di ascoltare quello che stanno dicendo. Cosa dicono esattamente? Chi fa l’esercizio si rende così conto della percezione che crede di trasmettere agli altri, oppure di come vorrebbe essere ricordato, e capisce su quali aree è chiamato a migliorare.

3. Metti le prime cose al primo posto
Covey, con questo titolo, ha scritto anche un libro sulla gestione del tempo, sul delicatissimo discorso del ‘time far capire l’importanza del compito di identificare le reali priorità – lavorative o personali – della propria vita per ordinarle in modo efficace.

4. Pensa in modalità ‘win-win’
Termine super abusato in negoziazione, ma anche in qualsiasi altro campo probabilmente. Premesso che la situazione ‘win –win’ non è quasi mai, a mio personale avviso, raggiungibile, dovrebbe quantomeno essere il bersaglio cui mirare. Covey sostiene che se in una conversazione fra due individui entrambi riescono a esporre il proprio punto di vista senza sentirsi in una posizione di sottomissione, la conversazione stessa diventa più produttiva e i legami si rafforzano ulteriormente.

5. Cerca prima di capire, poi di farti capire
Secondo il mio punto di vista, questo dovrebbe essere il primo principio in assoluto. Citando Covey, spesso non ascoltiamo le persone, perché siamo impegnati a pensare a cosa rispondere per ribattere a quello che stanno dicendo. Nella mia esperienza – guidato ovviamente dalla lettura di questo libro che spesso riprendo in mano e dagli anni di studi fatti sulla comunicazione – per poter fare bene il mio lavoro e migliorare le mie relazioni personali, ho imparato ad ascoltare e ho scoperto che molto spesso le persone quando parlano danno sia il problema che la soluzione del problema: una cosa che solitamente non capiamo perché non ascoltiamo nemmeno noi stessi, figuriamoci quando comunichiamo con gli altri. Credo che questo concetto sia uno dei punti cardine in qualsiasi tipo di relazione, professionale o personale.

6. Creare sinergia
Molti anni fa ho letto in un libro un bellissimo esempio: se un uomo con un dollaro incontra un altro uomo con un dollaro, insieme hanno due dollari e possono fare molte più cose. Devo ammettere che negli ultimi due anni ho stretto molte sinergie con diverse persone: queste mi hanno permesso di incrementare il mio business e di condividere anche competenze, circostanze che mi hanno permesso di imparare molte cose. Anche questo è un concetto importante che spesso può dare una svolta al nostro lavoro.

7. Affila la lama
Questo è il principio che secondo Covey sostiene tutti gli altri sei. Al centro c’è il tempo per la preparazione, ossia per approfondire ogni singolo aspetto descritto sopra, per mettere in armonia fra loro tutte le caratteristiche che ci portano a sviluppare un equilibrio e poter usare gli strumenti che abbiamo acquisito o che stiamo acquisendo al meglio della loro funzionalità. Per fare questo ci vuole una buona gestione del nostro tempo, perché se si vive sempre in situazioni di urgenza, o peggio ancora di emergenza, difficilmente avremmo tempo di affilare e rendere ancora più funzionali gli strumenti che ci permettono di ottenere il meglio da ogni situazione e diventare così anche noi persone ad alta efficacia. Grazie e alla prossima!

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